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Quando gli organi assorbono l’emotività negativa, parliamo di somatizzazione; ma cosa significa somatizzare?
Le somatizzazioni sono lo spostamento di eventi psichici sul corpo. L’energia emotiva, anziché essere sentita o espressa, viene scaricata su un organo. Tale organo risente in modo diverso di questa sollecitazione: può avere delle variazioni nella sua funzione come nelle reazioni psicosomatiche; può alterare la sua struttura e ammalarsi come nelle vere malattie psicosomatiche.

Che difese abbiamo contro lo stress?

Secondo la visione psicosomatica moderna, le difese contro lo stress avvengono a strati successivi. Il primo strato è il pensiero e l’emozione. Il secondo strato sono le reazioni corporee determinate dal sistema neurovegetativo. L’ultimo strato riguarda alterazioni del sistema immunitario ed endocrino.

Ad esempio se l’individuo si trova in una situazione stressante quotidiana (liti continue in famiglia) attiva per primo il suo filtro emotivo e cognitivo: si dispera, piange, chiede aiuto ai famigliari, spera di trovare risposte e di impietosire il partner.

Nello stesso tempo ragiona sul da farsi per darsi una spiegazione e trovare vie d’uscita. Supponiamo che tutto questo non serva o le vie d’uscita non vengono trovate, per paura o ambiguità. Il disagio si fa più acuto e persistente. Allora subentra il filtro neurovegetativo. La persona incomincia a manifestare sintomi psicosomatici: ipertensione, tachicardia, insonnia, disturbi dell’apparato gastroenterico con inappetenza o vomito.

Questo dovrebbe indurre a prendere una decisione. Ma nulla cambia. Passano i mesi e lo stress è lo stesso. Dopo aver prodotto una ipertensione e una gastrite, il filtro neurovegetativo ha esaurito le sue possibilità. Subentra allora il terzo filtro, quello immunitario, che purtroppo va a produrre una vera malattia psicosomatica: la persona ad esempio si ammala di psoriasi, che le deturpa il volto e le braccia; manifesta episodi febbrili subentranti o faringiti ripetute. Potrebbe anche peggiorare i sintomi gastroenterici, fino a determinare un’ulcera.
Questo esempio dimostra come ogni situazione anomala debba trovare risposte e cambiamenti, per non ristagnare e prendere la via di una malattia: psichica o somatica.

Perché il malessere finisce nel corpo?

Malessere vuol dire ”vivere male”. La persona vorrebbe andare verso una direzione e invece deve prenderne un’altra, vorrebbe riposarsi e deve faticare, vorrebbe essere amata e si trova respinta, vorrebbe ribellarsi e piega la testa. Questo vivere male la lacera. La mette in un conflitto che la blocca. Il corpo trova allora un modo di manifestare il disagio. Lui, il primo generatore del linguaggio, scrive parole cifrate per comunicare il malessere che altrimenti resterebbe muto.

Può farlo investendo un organo bersaglio: il cuore, la gola, l’intestino, il fegato, la pelle. L’organo è scelto in base a due fattori: la debolezza e il simbolo. Spesso viene scelto l’organo più sensibile (ognuno ha un apparato fragile) che è già stato investito da malattie nell’infanzia o che geneticamente è predisposto. Ma viene anche scelto l’organo che rappresenta simbolicamente la funzione dell’individuo dove risiede il trauma stressogeno.

In che modo gli organi sono simbolici?

Non è facile rispondere e possiamo solo avvicinarci a frammenti di verità, pensando, come diceva Groddeck, che il corpo è una finestra aperta sulla dimensione profonda inconscia della vita psichica. Una teoria interessante divide gli organi in:

Organi Recettivi: ne fanno parte l’apparato respiratorio e l’apparato gastroenterico, che prendono aria e cibo dall’esterno e poi restituiscono le scorie. Ogni qual volta che ci troviamo di fronte ad un disturbo in questi apparati possiamo pensare ad una problematica rispetto a ciò che il soggetto ha mangiato o respirato, ossia ha dovuto accettare dai personaggi della sua vita familiare o sociale. Ci orientiamo su problemi legati alle relazioni.

Organi Discriminativi: ne fanno parte l’apparato immunitario, nervoso ed epidermico, che discriminano le cose buone da quelle cattive, selezionano, riconoscono ciò che è proprio. Un disturbo a carico di questi apparati fa pensare alla presenza di una problematica legata alla valutazione di cosa tenere e cosa lasciare, rispetto a ciò che viene da fuori, dal mondo delle relazioni sociali. Ci orientiamo su problemi legati alla identità.
Organi Operativi: ne fanno parte l’apparato muscolare ed osteotendineo. Tale apparati servono a muoversi e a raggiungere i propri obiettivi. Ogni qual volta ci troviamo di fronte ad un disturbo dell’apparato osseo o muscolare possiamo pensare ad un conflitto inerente la dimensione dell’operare concreto. Ci orientiamo su problemi legati alle realizzazioni.

Come si curano le somatizzazioni?

Le somatizzazioni si curano impostando una rete terapeutica fra specialisti del corpo e della psiche, che possibilmente lavorino in collaborazione. I punti cardine della terapia sono: la cura costante dei sintomi fisici, la cura del dolore depressivo sottostante, la consapevolezza del conflitto che viene coperto, la fiducia nella realizzazione del cambiamento concreto, che è sempre necessario e salutare.

I sintomi fisici richiedono cure pazienti e controlli periodici, perché sono cronici. Non ci si deve aspettare una guarigione immediata e completa, perché sarà lenta e a salti. Nello stesso tempo ci si deve prendere cura del nucleo depressivo che genera la somatizzazione. Lo si fa col sostegno, la psicoterapia breve o un ciclo di antidepressivi dove occorre.

Nella somatizzazione è contenuto un conflitto che lacera: è indispensabile trovarlo, andando a ripercorrere la situazione esistenziale da cui sono partiti i sintomi. Il cambiamento concreto avviene dopo aver accettato i propri bisogni, aver fatto chiarezza e trovato il coraggio di abbandonare modalità malsane.

Il disturbo di somatizzazione

Esiste un vero e proprio disturbo di somatizzazione, che comprende molteplici lamentele fisiche, che vengono evidenziate da un individuo e che si manifestano per diversi anni, portando a delle difficoltà sul piano sociale, lavorativo e relazionale in generale. Il paziente si ritrova in una costante ricerca di una possibile cura per queste manifestazioni sintomatologiche.

Perché si possa parlare di vero e proprio disturbo di somatizzazione, secondo la definizione del DSM IV, i sintomi devono comprendere almeno quattro che riguardano il dolore, due gastrointestinali, uno sessuale e un sintomo pseudoneurologico, come, per esempio, un’alterazione dell’equilibrio. Per tutti questi sintomi fisici non è possibile rintracciare una spiegazione medica, un’origine fisiologica del problema. Tutto è da inquadrare nell’ambito della sfera psichica del paziente.

A volte la somatizzazione è accompagnata da sintomi di ansia e di depressione, sia endogena che reattiva. Per curare il disturbo di somatizzazione serve una psicoterapia cognitivo-comportamentale. In questo modo il soggetto riesce ad adoperare una ristrutturazione dal punto di vista cognitivo e a superare il proprio disagio.

Conclusione

Possiamo riassumere i concetti in questi consigli:

Se sospetti una malattia psicosomatica esegui prima tutti gli esami diagnostici consigliati, e indaga sulle possibili cause organiche.
Se tutti gli esiti sono negativi, chiediti quale fosse la tua situazione esistenziale all’inizio del disturbo, perché la somatizzazione parte dalla tua storia.
Accetta di vedere la fatica e il conflitto che vivevi allora e che tutt’ora persiste, senza minimizzare o negare le difficoltà.
Cura il corpo e l’anima contemporaneamente, accettando le tue debolezze e i dubbi che faticano a risolversi, perché è normale non riuscire a capire e risolvere tutto subito.
Fatti sostenere nei vissuti depressivi, che hanno accompagnato il dolore o la frustrazione della situazione esistenziale di partenza.
Datti il permesso di cambiare qualcosa della tua vita, perché solo così il tuo corpo cesserà di gemere.
Ogni cambiamento è la perdita di qualcosa, ma è anche la conquista di altro, ed è meglio soffrire per arrivare alla serenità che soffrire inutilmente nello stare fermi.

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