Nei secoli scorsi, il cancro veniva chiamato putredine reale, in quanto colpiva regolarmente solo i re e le persone che gli stavano intorno, tutti accomunati dalla bruttissima abitudine di cibarsi con la carne dei propri cavalli azzoppati, dei buoi che tenevano nelle stalle reali, della selvaggina che perseguitavano nelle loro battute di caccia, ovvero delle proteine nobili contenute nel sangue altrui.La popolazione modesta e plebea doveva accontentarsi delle verdure, della poca frutta e dei cereali che coltivava nei campi. Ma tutto il male non veniva per nuocere, e i contadini vivevano sani e a lungo, mentre i reali continuavano ad essere salassati dalla putredine reale, ovvero dal cancro.Quando la Rivoluzione Francese cominciò a portare i sangue blu sul palco della ghigliottina, la borghesia e poi anche il popolo più umile vollero acquisire tutti i diritti, includendo le abitudini più nefaste, come quella di insozzare di sangue e di interiora i propri piatti, le proprie posate, le proprie tavole.E fu così che la putredine reale, il cancro dei re e dell’aristocrazia dal sangue blu, divenne putredine popolare, e cominciò a mietere sempre più vittime tra la popolazione mondiale.
LA PUTREDINE REALE E LE ASSURDE DISTINZIONI
La Teoria Calabrese ignora del tutto la putredine realeAbbiamo già avuto modo di commentare le teorie alto-proteiche del dr Giorgio Calabrese, ormai stella televisiva del nutrizionismo filo-proteico di casa nostra.Notiamo che i governi cadono e si alternano, mentre lui rimane inamovibile al proprio posto, al punto di imperversare negli studi di Rai Uno e di riempire il video con la sua presenza autorevole e quasi divina, come fonte unica e incontestata della verità.Ciò significa che egli, incluse le sue teorie, va bene per tutti i partiti politici e per tutte le coalizioni.Ce ne complimentiamo e, in una certa misura, ne siamo felici.
Lo diciamo senza spirito di retorica.Perché egli incarna al meglio, più di qualsiasi altro, le incongruenze e le contraddizioni di chi sbaglia di grosso e a 360 gradi, di chi percorre la rotta più infame e pericolosa, di chi diffonde una cultura alimentare antitetica rispetto alle reali esigenze della popolazione, una filosofia in netto contrasto coi principi stabiliti dalla Natura, dalla Creazione, dalla giustizia e dalla logica divina.Avevamo nei mesi passati bollato con una certa durezza, e con invereconda aria di scherno, la cosiddetta Teoria Calabrese sulle quote proteiche necessarie per la salute dei bimbi e degli adulti, dove egli suggeriva svariati tipi di carne, alternando tra tagli diversi e tra carni di razze diverse (manzo, suino, pollo, selvaggina, pesce), al fine di appropriarsi delle tante sostanze nobili che ogni tipo di parte corporale e ogni tipo di razza può apportare al gran carnivoro chiamato uomo.La Teoria Calabrese non raccomandava diverse carni una volta all’anno, una volta al mese o una a settimana, ma addirittura più volte al giorno per tutti i giorni della settimana, escludendo il venerdì riservato al pesce.Nei secoli scorsi, il cancro veniva chiamato putredine reale, in quanto colpiva regolarmente solo i re e le persone che gli stavano intorno, tutti accomunati dalla bruttissima abitudine di cibarsi con la carne dei propri cavalli azzoppati, dei buoi che tenevano nelle stalle reali, della selvaggina che perseguitavano nelle loro battute di caccia, ovvero delle proteine nobili contenute nel sangue altrui.La popolazione modesta e plebea doveva accontentarsi delle verdure, della poca frutta e dei cereali che coltivava nei campi. Ma tutto il male non veniva per nuocere, e i contadini vivevano sani e a lungo, mentre i reali continuavano ad essere salassati dalla putredine reale, ovvero dal cancro.Quando la Rivoluzione Francese cominciò a portare i sangue blu sul palco della ghigliottina, la borghesia e poi anche il popolo più umile vollero acquisire tutti i diritti, includendo le abitudini più nefaste, come quella di insozzare di sangue e di interiora i propri piatti, le proprie posate, le proprie tavole.E fu così che la putredine reale, il cancro dei re e dell’aristocrazia dal sangue blu, divenne putredine popolare, e cominciò a mietere sempre più vittime tra la popolazione mondiale.Il prof Calabrese pare non conoscere queste verità storiche. O forse le ha dimenticate per una qualche sua carenza di fosforo.Dissertazione su allergie e intolleranzeIn data 8 maggio, il prof Calabrese ha dissertato ampiamente su allergie e intolleranze, su cibi che portano ad allergie e cibi che portano a intolleranze, distinguendo con la solita maestria e con paragoni efficaci, portando esempi chiarificanti, come chiavi sbagliate che non aprono le porte del corpo (intolleranze) e come carabinieri che scambiano cibi innocenti per elementi invasori e ladri e vanno ad arrestarli (allergie).E’ un vero peccato che egli non abbia approfondito i concetti, mettendo in chiaro che il più delle volte allergie e intolleranze sono fenomeni logici e consequenziali, determinati dal fatto che le sostanze in questione sono incompatibili con l’apparato umano destinato a digerirle.In altri termini, essere intolleranti al latte di mucca e ai suoi derivati non sta affatto a indicare una imperfezione, una debolezza o addirittura una malattia di chi ne è soggetto. Indica semmai che il soggetto medesimo è forte e reattivo ad una sostanza che per natura non è stata ideata e costruita a misura per lui, ma per un lattante, e per un lattante di mucca che si chiama vitellino.E’ un po’ la stessa cosa di chi non tollera l’alcol. Il poter tracannare un litro di vino senza apparenti e vistosi effetti non ci pone per niente in vantaggio o in superiorità rispetto a chi riesce a berne appena uno o due bicchieri. E’ semmai indice di debolezza e di assuefazione. La mancanza di sensibilità e di reattivitàsignifica solo semplice abitudine al veleno, e non forte resistenza e impunità al veleno stesso, come molta gente pensa.Una paternalistica tenerezza verso i vegetarianiMa il motivo per cui ci sentiamo ora di intervenire è la tendenza del nostro eroe televisivo a differenziare i motivi morali da quelli fisici nella scelta dei propri cibi.Secondo Calabrese, non solo non bisogna confondere allergie con intolleranze, ma bisogna pure tenere ben distinte le motivazioni morali da quelle fisiologiche.Per taluni, come i vegetariani, verso i quali ama dimostrare un certo riguardo, una certa tenerezza e un paternalistico affetto, è persino giusto e comprensibile evitare la carne. I principi morali, filosofici, etici, perbacco non si discutono e non si toccano. Si devono rispettare e basta.Chi opta per queste scelte coraggiose e debilitanti dovrà semmai, secondo lui, correre ai ripari e trovare delle alternative valide alle carenti teorie vegetariane caratterizzate da diete prive di sostanze indispensabili, e soprattutto di proteine nobili, di vitamina B12, di ferro-eme e di Omega-3.Teorie vegetariane del tutto inadeguate per una salute vibrante e perfetta, quale quella raggiungibile ad esempio grazie alle sue pressanti raccomandazioni filo-carnivore.Perché un conto è salvare la propria ideologia e magari la propria anima, e un altro conto è stare bene e salvare il proprio corpo.E, per stare fisicamente in forma perfetta, è indispensabile per grandi e piccini, per maschi e femmine, per bianchi e neri, ingozzarsi giornalmente di almeno 150 grammi di proteine nobili (80 grammi/giorno per i bambini appena svezzati e pertanto in forte crescita).
L’Agroalimentare Italiano: un tricolore che si difende assai poco degnamente a colpi di prosciutto e mortadella, vino e caffèQuesto non per volontà divina, ma per volontà del prof Giorgio Calabrese e delle industrie che stanno alle sue spalle, ovvero l’ormai mitico Agroalimentare Italiano, quel made in Italy di successo che sta difendendo il paese sui mercati del mondo intero, incluso nei promettenti colossi di Cina e India.Un tricolore che si difende dunque a colpi di prosciutto e di mortadella, di zamponi e di speck, di salami e tonni, di grana padano e parmigiano-reggiano, di besciamelle e gorgonzola, di grassi e nutelle, mandati giù da una marea di vini DOC e di caffé espressi e concentrati delle migliori marche italiche.Non abbiamo nulla contro le legittime ambizioni economiche dell’industria italiana, abituata da sempre a distinguersi e a primeggiare in fatto di qualità, sulla scia di Vespa e Lambretta, di Valentino e Armani, di Ducati e Ferrari.Ma preferiremmo, ad onor del vero, essere valutati ed apprezzati per Pitagora e Parmenide, per San Francesco e Dante, per Leonardo e Raffaello, per Galilei e Foscolo, per Volta e Marconi e Meucci, per il design e la tecnologia, o magari per l’agroalimentare pulito, ecologico, non intriso di crudeltà e di sangue.Le splendide uve pugliesi, le olive e gli oli dell’area Appenninica, i limoni e le arance di Sicilia, le pesche e le albicocche della regione emiliana, gli ortofrutticoli delle varie nostre regioni, sono di sicuro ambasciatori e simboli mille volte più qualificati a rappresentarci all’estero.Ma finché il mondo rimane lì a darci credito su budella di maiale contenenti carni vilipese e macinate dei medesimi suini, o su bevande gustose ma micidiali per il corpo e la mente, non saremo certo noi a dissuadere cinesi e indiani a selezionare meglio cosa prendere e cosa non prendere dall’Italia.Alla lunga, la verità e la giustizia, le scelte accurate ed opportune, avranno comunque conferma e prevalenza, e il nostro argomentare non apparirà più come disperata crociata contro i disgraziati e disonoranti macelli che continuano loro malgrado a insozzare di sangue e a far cadere maledizioni e sfiga sul territorio nazionale che in altri tempi usava essere chiamato Il Paese Bello e Gentile.L’armonia del creato, l’armonia della mens sana in corpore sano non può essere messa in discussioneTornando all’ineffabile prof Calabrese, ci teniamo a ricordargli che non esistono le dicotomie di cui egli ama farsi interprete e teorizzatore.Non c’è una nutrizione morale e insana che fa a pugni con la nutrizione fisiologica sana.Il Creatore non ha costruito un uomo dall’animo squisitamente sensibile e dal corpo volgarmente attratto ed affamato del sangue e della carne altrui.Dio ha fatto invece un uomo capace di pensare divinamente e idoneo nel contempo a funzionare perfettamente coi cibi divini messigli a disposizione.L’uomo è fisiologicamente e moralmente un fruttariano-vegetariano, non per convinzione ideologica settaria di certa gente che la pensa in un certo modo, ma per disegno e formula e funzione attribuitegli da chi lo ha creato, per conformazione oggettiva, rigorosamente provata, testata e dimostrata da tutte le scienze dello scibile umano, incluse anatomia, biochimica, antropologia.La scelta umana di mangiare frutta e verdura, e di abbandonare del tutto in modo rigoroso e definitivo tutte le proteine animali, non è dunque una scelta solo morale, ma è pure una scelta igienica, logica e salutistica.Ci spiace per Calabrese e ci spiace per i suoi amici sgozzatori di manzi, di vitelli, di mucche, di suini, di conigli e di volatili. Essi dominano, imperversano e continueranno a imperversare fino a quando prevarrà in Italia e nel mondo l’ignoranza allo stato puro, la crudeltà sorda e insensibile, la venalità e l’opportunismo commerciale, il disprezzo e la cattiveria verso un mondo animale ricchissimo di valori inesplorati e incompresi, verso un mondo animale che attende di essere reintegrato, riabilitato a tutti i livelli.Se nei fatti l’uomo spesso trasgredisce, fa il finto tonto, si allontana dalla natura, lo fa per errori suoi, o per errori nei quali viene indotto da parte di meccanismi e ideologie asservite, come quelle entro le quali bazzica il paladino nazionale della bistecca.Quello che chiediamo al prof Calabrese, se vuole davvero mantenersi sullo schermo in modo più dignitoso ed accettabile, è di smetterla con le sue arie saccenti e dogmatiche da fonte unica e insostituibile della cultura nutrizionale.La smetta di pontificare e di coprirsi di ridicolo. La smetta di fare l’eroe con sprovvedute massaie e donne di casa che gli telefonano e pendono dalle sue labbra. La smetta di fare l’oracolo in mezzo a gente il più delle volte impreparata e addomesticata.E, chi sta dietro di lui, abbia almeno l’accortezza e la lungimiranza di avvertire che quanto si sostiene nella trasmissione fa parte di un messaggio commerciale e di parte, non necessariamente condivisa dalla redazione e dalla direzione televisiva, come usano fare i media prudenti e responsabili di ogni paese civile.