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Le esperienze di calore, contatto e protezione che si sono impresse sulla nostra pelle durante la vita prenatale, devono trovare continuità anche nella vita post-natale, affinché il neonato si sviluppi e diventi un bambino ed un adulto sano ed equilibrato. Vari esperimenti scientifici sul bisogno vitale di contatto hanno dimostrato quanto è importante “ il toccare e l’essere accarezzato” per l’essere umano.

Ricordiamo gli esperimenti di Harlow (con i lattanti di scimmie, madre di metallo e di stoffa), Levine (topi accarezzati e non accarezzati), Spitz (la carenza affettiva interferisce nel recupero dell’infanzia abbandonata, per quanto efficienti siano i metodi di cura), Margareth Ribble (evidenzia tre tipi di stimolazione sensoriale: il contatto tattile, il movimento cinestesico, il canto) e molti altri ricercatori che hanno rilevato come la mancanza di contatto cutaneo, specialmente nel primo anno di vita, sia determinante per la formazione di persone ammalate. Il problema dell’eczema infantile, per esempio, è in questo senso molto significativo. La carenza affettiva, la mancanza di “tocco” rende i neonati soggetti ad affezioni tipo “crosta lattea” o altre malattie cutanee. Gli psicodermatologi insistono sull’importanza di ricevere più contatto fisico per arrivare a vincere certe dermatosi.

Già Wilhelm Reich osservando al microscopio i movimenti di organismi unicellulari vivi come i bioni o le amebe, scoprì delle leggi che, secondo lui, regolano i processi vitali pulsatori all’interno di questi organismi unicellulari e nelle relazioni tra di loro. W. Reich chiamo’ questi unicellulari “bio-sistemi”. Un “bio-sistema” consiste in un nucleo energetico pulsante al centro, il plasma, e in una membrana che lo contiene. L’energia pulsa all’interno della membrana e un campo energetico si estende intorno a essa. Se l’ambiente è stimolante, l’ameba si espande con un movimento fluido, cioè l’energia fluisce verso la periferia e il campo di energia si allarga. Se invece la stimolazione da parte dell’ambiente è ostile, l’ameba si contrae, cioè la sua energia fluisce dalla periferia verso il centro, e così anche il campo di energia si ritrae. Se la stimolazione da parte dell’ambiente continua ad essere negativa, la pulsazione cessa e l’ameba muore.

Per W. Reich, metaforicamente, è come se, nel caso di un ambiente stimolante, l’ameba dicesse “sì” con il movimento di espansione verso l’esterno; mentre invece con quello di contrazione dicesse “no”.

L’ameba cerca l’incontro piacevole con altre amebe mediante un movimento ondulatorio e fa “contatto” con loro attraverso un “ponte di energia”. Il processo di “contatto” avviene quando due campi di energia di due bio-sistemi pulsanti si attraggono, si toccano, si sovrappongono e si compenetrano, emanando luce e vibrando insieme.

W. Reich ne deduce che il movimento della “bioenergia” nel plasma dell’ameba sia funzionalmente identico al movimento del plasma in tutti gli esseri viventi (biosistemi più complessi) e che l’emozione (espansione = “sì”; contrazione = “no”) sia un reale movimento energetico-espressivo del plasma. Egli chiama questo movimento “linguaggio espressivo del vivente”.

Secondo W. Reich il bambino non è passivo ma nasce con un alto potenziale di bio-energia pulsante con la quale si esprime: onde di eccitazione partono dal suo corpo, si espandono per entrare in contatto con l’ambiente – il corpo della madre. I due bio-sistemi si esprimono ciascuno con le proprie vibrazioni auto-espressive e, nel “contatto”, formano un unico biosistema più grande, all’interno del quale i campi di energia compenetrati comunicano commuovendosi ed espandendosi verso l’ambiente circostante.

W. Reich chiama questo processo “biosociale”: “bio” perché è una comunicazione emotiva a un livello di pulsazione plasmatico energetico, “sociale” perché si svolge tra due esseri umani. Secondo lui la comunicazione bio-sociale è la base di ogni comunicazione.

“Tu senti me, io sento te: noi due ci apparteniamo”. Questa è la struttura della vita e dell’amore: un flusso ritmico-energetico tra due esseri viventi. (Come non pensare alla danza!) Il significato originario della parola religione è “appartenersi”. In un mondo in cui si ha tanta paura di esser vicini, in cui per “sentirci” spesso ci aggrappiamo a cose, persone, e luoghi che poi ci portano ancora lontano da noi stessi…dalla nostra “strada”…Biodanza si propone come modo,un’ occasione, un invito per “tornare” a sentire tutto questo.

E’ importante comprendere che il contatto in se stesso, un contatto meccanico, non è terapeutico. Esso deve avvenire all’interno di un approccio affettivo, in un processo progressivo di comunicazione e di empatia. Per Biodanza proporre esercizi di contatto e di accarezzamento è la risposta ad un bisogno autentico di protezione e di accoglienza nello scambio reciproco di piacere e accettazione. Il contatto deve raggiungere la qualità della Carezza: un gesto pieno di attenzione, compiuto nell’ascolto delle richieste reciproche, con la capacità di agire in feedback con l’altro. La metodologia di Biodanza è attenta al continuum, propone un avvicinamento sensibile, in un clima affettuoso, nel quale la progressività è “cura dell’altro”, dell’espressione del suo Essere. E’ qui che si compie un salto di grande Integrazione, attraverso l’affettività: si compie l’istintivo atto di vincolazione umana tra chi dà e chi riceve. Se non abbiamo ricevuto un buon contatto non possiamo comunicarlo, dobbiamo ritrovare la carezza, riempire la carenza, altrimenti ci sarà spazio per comportamenti vittimistici o violenti che altro non sono che la risposta alla mancanza. Quando ci esprimiamo con emozione, cuore ed empatia le nostre mani nel contatto diventano “parlanti”. Le vivencia di Biodanza generano un tocco affettivo e delicato, la carezza è un tocco che crea situazioni poetiche ed espressive di grande intensità. Magistralmente Leboyer, grande innovatore della Pediatria mondiale, descrive come bisogna toccare un bambino: “Attraverso il contatto delle mani il bambino capta tutto: il nervosismo o la tranquillità, l’incertezza o la sicurezza, la tenerezza o la violenza. Sa se le mani lo desiderano. O se sono distratte. O, ciò che è peggio, se lo rifiutano. Davanti a delle mani premurose , affettuose il bambino si abbandona, si apre. Davanti a delle mani rozze, ostili, si isola, si nasconde, si chiude… Quali mani devono sostenere il bambino? Mani leggere, non autoritarie. Che non chiedono nulla. Che “sono” semplicemente lì. Leggere ma piene di tenerezza. E di silenzio”.

Il contatto delle mani, gli abbracci, le carezze parlano un linguaggio autentico, vivo, senza inganni di sorta nella scoperta reciproca. Quando il palmo della mano si posa sulla pelle e accarezza dolcemente crea una “piccola culla”. Quando avvolge ciò che tocca completamente come l’elemento acqua che aderisce ad ogni forma comunica una vicinanza totale: una fusione. Leleu, nel “Trattato delle carezze”, ne dà un’ampia descrizione: “Oltre che un piacere, è un vero e proprio linguaggio. Gli esseri comunicano con la voce e lo sguardo, ma quando sentono il desiderio di approfondire un rapporto questi sensi diventano troppo poco. Solo con il contatto si ha la prova tangibile, palpabile della vicinanza, della comunicazione: si ha la sensazione di essere vivi, di essere desiderati”. La carezza è uno degli strumenti fondamentali in Biodanza. Induce trasformazioni a livello organico ed esistenziale: dare e ricevere carezze ha lo stesso potere di certi farmaci, perché si attiva nelle cellule il processo di produzione delle endorfine e degli ormoni: è come un tocco “magico” che migliora molte cose, compresa la velocità di cicatrizzazione e di sedimentazione.

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